L’abbiamo scritto nel “Chi siamo” e non ci stancheremo di ripeterlo: un terzo della redazione di Lo Zampino, la parte più loquace e affascinata da reperti antichi, si dedica, per passione e per mestiere, all’archeologia. Abbiamo intervistato Fabrizio Ghio, archeologo e architetto, che non solo ha fatto dell’archeologia il suo lavoro, ma ha portato la sua ricerca e il suo impegno in giro per il mondo, puntando alla salvaguardia del patrimonio culturale.
Com’è nata l’idea di una specializzazione in archeologia, avendo una laurea in architettura?
In verità mi sono laureato con una tesi che aveva per argomento l’architettura antica, nell’ambito di un indirizzo di studio legato al restauro e alla conservazione dei monumenti. Già nell’ultima parte del mio percorso di formazione, avevo partecipato a campagne di indagini e rilievi archeologici in Italia e nel contesto mediterraneo. Ho incontrato qualche difficoltà durante il corso di specializzazione, nell’affrontare tematiche e materie completamente nuove. Il resto è venuto di conseguenza, offrendo ampio spazio alla casualità degli eventi, aspetto che ha caratterizzato buona parte della mia vita.
Si è laureato al Politecnico di Torino e poi ha deciso di spostarsi per continuare gli studi nel Salento. Come ha vissuto il cambiamento?
Premesso che l'architettura può essere considerata come la più umanistica delle facoltà scientifiche, la facoltà a Torino ha sede all’interno di un castello circondato da un parco, ben lontano quindi dall’ambiente del Politecnico sede dei corsi di ingegneria. Forse la differenza maggiore sta nei numeri: migliaia di studenti a Torino, qualche decina nell’ambito del corso di specializzazione presso l’Università degli studi di Lecce. Ma soprattutto di impatto è stato il cambio di latitudine, con annessi e connessi, passando dal nord al profondo sud.
Nella sua carriera, qual è stata l’esperienza lavorativa che l’ha maggiormente arricchita?
Più di una. Ancora studente, avere la possibilità di lavorare su un sito come Hierapolis di Frigia, in Turchia è sicuramente un’esperienza, di vita oltre che di lavoro. In anni recenti, operare su siti fra i più importanti di quelli conosciuti, prima durante il percorso formativo e in seguito da turista. Mi riferisco in particolare alle terme di Traiano a Roma e a Villa Adriana a Tivoli. È stata un’emozione, oltre che un privilegio, con la possibilità di mettere la mia professionalità al servizio di siti che fanno parte della storia dell’archeologia e dell’architettura.
Se potesse tornare indietro, cambierebbe qualcosa del suo percorso?
Forse cercherei di proseguire con l’aggiornamento in merito all’uso delle nuove strumentazioni e tecnologie, ma per questo ci sono le nuove generazioni.
Come si colloca l’archeologia nell’era di internet (in un mondo in cui con un click si hanno a disposizione centinaia di informazioni), dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie?
È una professione, insieme a quella, ad esempio, del restauratore, che non può prescindere dal contatto con il reale e con un approccio “caso per caso”. Nessun supporto tecnologico, seppur importante nella pratica lavorativa, può sostituire l’esperienza diretta e la competenza dell’operatore sul campo. E nessun algoritmo può surrogare l’emozione della scoperta.
Fabrizio Ghio, nato a Pinerolo (TO), laureato in architettura e abilitato all’esercizio della professione, è specializzato in Archeologia Classica e si occupa a vario titolo di Beni Culturali. Si è prima laureato in architettura presso il Politecnico di Torino, poi specializzato in Archeologia Classica presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia Classica e Medievale di Lecce. Dal 2000 collabora come professionista esterno con il CNR-IBAM di Lecce e con il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento presso il quale, dal 2012, è Cultore della Materia.