Lo Zampino
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Nasce a Lecce Pourriproject: quando l'architettura incontra l'arte

Roberta Pellè
Pourriproject
Pourriproject 2
Pourriproject

Roberta Pellé, architetta e artista visuale ci ha accompagnato in un viaggio attraverso i luoghi, le esperienze e le scelte che hanno plasmato la sua visione del mondo negli anni: dai primi passi mossi nella sua terra d’origine, il Salento, ai periodi trascorsi a Milano e a Lisbona, intrecciando coraggio, ricerca e rinascita. Nelle sue parole, presenta Pourriproject: un laboratorio creativo dove arte, architettura e paesaggio si incontrano e dove lo “scarto” diventa punto di forza.

Facciamo un salto indietro di circa trent’anni. Dove sei nata?

Sono cresciuta a Lizzanello, a 7 km da Lecce. Ma quella dimensione un po' periferica, un po' spaesante, non mi è mai appartenuta. Mi sono sempre sentita fuori posto. Per questo e per altri motivi, ho deciso di andare a vivere sempre più lontano, prima Milano, poi Lisbona.

Cercavi qualcosa?

Sento che essere lontana da “casa” mi abbia permesso di crescere e relazionarmi senza i condizionamenti sociali, culturali e familiari che inevitabilmente mi portavo addosso. Se guardo al mio percorso è come se mi fossi tolta vestiti pesanti di dosso, per cucirne uno nuovo e adatto a me e alle mie forme. Per farlo, però, ne ho provati tanti.

Ce li racconti?

Sono partita per Milano a 19 anni, per seguire i miei studi, ed è stato uno shock. Avevo tradito per la prima volta le aspettative dei miei genitori, che mi volevano vicina a loro e con un camice da infermiere o da medico, e sono partita per andare nel luogo più lontano a me concesso, seguendo il mio istinto.

Cosa ricordi di quel periodo?

Per il primo anno e mezzo di università ho fatto la pendolare: vivevo in un paesino in provincia di Como, a 40 km da Milano. Milano era cara, e quella dimensione era il giusto prezzo da pagare per aver scelto di testa mia. È stato però un anno triste, difficile… in cui ho sentito veramente cosa si prova ad essere “emigrata in terra straniera”. Vivevo insieme ad un’altra compaesana salentina poco più grande di me, ma la gente non si salutava per strada e anche un “buongiorno” in stazione non era visto così di buon occhio. Con il tempo ho imparato a camuffare anche l’accento! Erano gli anni dell'ascesa di Salvini, che già se la prendeva con i migranti dall’Africa, ma in provincia si respirava ancora un’aria di “caccia al terrone”.

Sentivi il peso degli stereotipi?

In pochi, allora, conoscevano il Salento. Tante volte in università si scherzava sul fatto che andassimo a “cacciare gazzelle in vespa senza casco”. Era molto prima che iniziassero le crociate dal nord verso il sud alla ricerca di mare, sole e sunset parties. È in quel contesto che ho imparato il valore e il peso della parola “giù”, dei pacchi con le mandorle caramellate della nonna, delle discese e delle risalite.

Dopo?

Durante il secondo anno di università, mi si è aperta una possibilità: prendere in affitto, grazie a una compagna di corso, un posto letto in camera doppia in zona Caiazzo a Milano. I miei hanno accettato di aiutarmi con l’affitto, mentre io finalmente avevo finito tutti gli esami del primo anno e vinto la borsa di studio. Mi potevo finalmente godere l’estate dopo un inverno che era durato come un anno intero…

Cos’è stata Milano per te?

Un luogo di incontri, perdite, amori, pianti, tutti cuciti e dettagliatamente ricamati intorno alle ampie e rovinate scrivanie della facoltà di Architettura. Per me è, e rimarrà sempre, casa, almeno finché ci vivranno ancora le persone che per me sono famiglia.

Poi, un altro cambio.

Dopo Milano mi sono spostata a Lisbona, dove sono rimasta per tre anni. Avevo deciso che volevo vivere lì, che quella era la mia città. Forse un po' mi ricordava il Salento. La città in piena trasformazione e internazionalizzazione, presa d’assalto da tanti nomadi sognatori, che, come me, vedevano il Portogallo come un porto sicuro, con il bel tempo e l’oceano, capace di venire incontro a tutte le esigenze del mondo contemporaneo.

Un sogno?

Era il racconto di una vita ideale che finiva per somigliare sempre più ad uno spot pubblicitario, piuttosto che ad un luogo reale. Così è stato per Lisbona, che è diventata man mano più inaccessibile ai residenti, sempre più cool, internazionale. In quel contesto, io cercavo di farmi strada nel mondo professionale con l’idea di poter essere “una voce fuori dal coro”, capace di muovere un dibattito intorno al tema della gentrificazione e diritto alla città.

Ci sei riuscita?

Era un lavoro difficile e ha portato pochi frutti. Avevo un pensiero politico piuttosto radicale nei confronti del mondo dell’architettura e delle contraddizioni del sistema capitalista. Non accettavo compromessi. A fine 2019, ho iniziato a mettere in crisi tutto: me stessa, le mie motivazioni. Era il periodo del Covid e dopo mesi a viaggiare in Europa, vivere alla giornata e rivalutare continuamente ogni aspetto della mia quotidianità, ho deciso di tornare a vivere nel posto che, per me, è sempre stato il più ostile e difficile. Sono tornata in Salento.

Com’è stato tornare?

Dieci anni fa, non avrei mai pensato di ritornare a vivere al Sud. Vivere all’estero è stato fondamentale. È come se ci fosse sempre una finestra aperta per guardare fuori. Sono sempre stata proiettata verso l’esterno, ogni volta più lontano. Aver visto altri modi di fare e di considerare la professione, aver imparato un’altra lingua, essermi trovata in un altro contesto: ogni cosa mi ha permesso di guadagnare coraggio e forza per ritornare. Sapevo di portare dentro i volti, i colori, i suoni di tutti i mondi che ho vissuto e che mi hanno attraversata. Non solo sono tornata, ma ho deciso di restare. Non avrei mai avuto il coraggio di farlo, se non portassi con me ogni esperienza passata. Adesso sento finalmente di appartenere a questo luogo.

Cos’è Pourri?

Pourri è il mio progetto e il mio nome d’arte, un termine francese che vuol dire “scarto, da buttare”. Durante l’estate del 2020, in piena pandemia, la mia amica e sorella Lisa mi ha invitato a seguirla in un viaggio con il suo van autocostruito. Siamo partite insieme ad Oriane, anche lei nostra amica e sorella, dal Portogallo e abbiamo attraversato la Spagna, fino alla Francia. Per pagare il viaggio, cercavamo qualche lavoro stagionale e siamo finite a raccogliere mele. In quell’azienda agricola c’era una donna di nome Isabelle, un’addetta al controllo qualità del lavoro e della merce. Mi colpì moltissimo il suo urlare ogni dieci secondi: “C’est pourri!” brandendo una mela non proprio perfetta, e quindi non conforme, che andava scartata. In quel mio momento di crisi, io ero come quella mela: non conforme, da buttare. Da allora, pourri è un po' il manifesto della mia ferita, del mio sentirmi diversa e non accettata. Da lì, però nasco, come donna e come professionista.

Come nasce l’idea?

L’idea di creare uno spazio privato per esprimermi artisticamente era nata già a Lisbona, però l’ho piantata qui, nella mia terra, e qui sta germogliando. Pourriproject è per me un simbolo di rinascita, alternativa, cambiamento, della necessità di fare pace con quello che si è e permettersi di sbocciare. Il progetto è molto personale, è cucito su di me: uno svelamento che si muove lentamente.

In cosa consiste?

L’atelier si trova nel quartiere San Pio a Lecce e raccoglie i risultati di questo percorso, poco rettilineo e molto montuoso. Principalmente Pourriproject si muove su tre filoni: progetti di architettura sia privata che pubblica; progetti di riqualificazione paesaggistica e ricerca su un uso sostenibile delle risorse idriche e ricerca artistica e artigianale. Offro servizi di consulenza per privati, per studi di architettura e ingegneria e per committenza pubblica. Ho partecipato a diversi concorsi di progettazione e mi piace sperimentare con l’allestimento d’interni. Ricerco e sperimento di continuo, tanto che mi risulta molto difficile etichettarmi. Ormai ho smesso di farlo!

Come convergono, secondo te, arte e architettura?

Credo che l’una possa essere la matrice dell’altra in un gioco di continue interazioni. Per me, l’architettura, così come l’arte, è un mettersi a servizio del contesto, dell’ambiente e delle persone per creare la cosa giusta. È essere capaci di ascoltare, ricevere informazioni ed intuizioni e comporre qualcosa che produca armonia, bellezza, che possa fare emozionare. Per fare questo, ho bisogno di chiarezza, di costruire una cornice dentro cui potermi muovere: è un passaggio da dentro a fuori e non il contrario.

È la chiave per trovare l’equilibrio?

Tutto è già lì, in attesa. Come dice un mio collega, Eugenio Tarantino: “C’è un momento divergente, e poi uno necessariamente convergente”, e quando si entra nel flusso la cosa giusta appare quasi naturale. Bisogna solo ascoltare, cogliere e manifestare.


Roberta Pellè, architetta, ha frequentato dapprima il corso triennale in Architettura delle Costruzioni al Politecnico di Milano - Campus Bovisa e successivamente il corso Magistrale in Progettazione per il Costruito - Campus Leonardo. Al secondo anno magistrale, con il progetto Erasmus, ha frequentato la Faculdade de Arquitectura di Lisbona per 6 mesi, proponendo una tesi su un progetto di rigenerazione urbana alternativo al Piano particolareggiato della Camara Municipal firmato dallo studio Aires Mateus. Dopo essere ritornata in Italia, ha superato l’esame di stato presso il Politecnico di Bari. È iscritta all’Ordine degli Architetti della Provincia di Lecce dal 2022. Nel 2023 ha terminato un executive Master in NFT e Metaverse Design presso la w.academy.