In occasione del mio 30° compleanno, il mio fidanzato mi ha voluto regalare un weekend fuori porta.
“Perché non andiamo all’estero come fanno tutti?”
“No. Sono nata a gennaio? Gennaio è un mese invernale? Oh, allora voglio andare sulla neve!”
La sua faccia desolata. I miei occhi infuocati.
“In Trentino. Andiamo in Trentino! Le Dolomiti lì sono stupende, vedrai che ti piaceranno!”
Il mio entusiasmo faceva a pugni con il suo scetticismo, ma tant’è, il compleanno era il mio. Dunque, mia la scelta.
Nel 2024 quindi, il mio regalo di compleanno è stato un weekend sulla neve: dal 12 al 15 gennaio, volo da Napoli a Venezia e ritorno, una Jeep Compass a noleggio, estremamente cool, estremamente comoda, che ci è costata più del soggiorno stesso (non avevamo la carta di credito, ahimè!). Comunque, abbiamo alloggiato nella ridente Panchià, in provincia di Trento, un piccolo centro a 982 metri, che si trova in quella meravigliosa zona che è la Val di Fiemme.
Il tragitto da Venezia verso le montagne, percorrendo l’autostrada con la nostra 4 ruote super attrezzata e tecnologica, per me è stato tutto un “oooh!” e un “wooow!”. Io, quelle montagne, le avevo già viste, ma ogni volta è come se fosse la prima. Mi emozionano, mi entusiasmano e mi fanno sorridere come poche altre cose nella vita.
Il primo giorno, dopo aver ritirato le ciaspole presso il comprensorio sciistico Val di Fiemme/Obereggen a pochi km di distanza dal nostro hotel, ci siamo diretti verso il tracciato che volevamo percorrere.
Si tratta di un sentiero che porta al Forte Dossaccio, un fortino militare austroungarico, situato nei pressi di Paneveggio, una frazione del comune di Predazzo. Il panorama, dopo aver percorso una salita costante, ma non eccessivamente faticosa, è stupendo: da ampi pascoli costellati di casupole in pietra e legno si poteva ammirare la Catena del Lagorai.
Proseguendo, si entrava nella foresta del Parco Naturale di Paneveggio; a causa di alcuni problemi con le ciaspole del mio fidanzato (viviamo pur sempre in Salento), del suo abbigliamento non adatto alla neve e del poco tempo a disposizione (quando si è in vacanza il rischio di partire tardi è alto, ma in gennaio le ore di luce sono decisamente corte), decidemmo di tornare indietro e non concludere l’anello. Peccato, ma meglio non esagerare, perché l’indomani ci attendevano un sentiero e una meta che sognavo da circa due anni!
Dopo essere scesi dal Parco Naturale di Paneveggio, di ritorno verso Panchià, ci fermammo presso il Caseificio Sociale Predazzo Moena SCA, per assaggiare formaggi locali, tra cui il famoso puzzone di Moena, vini e salumi della zona. Il clima accogliente, la cortesia del personale e i prodotti ci piacquero talmente tanto che tornammo anche il giorno seguente.
Il secondo giorno, come anticipato, avrei realizzato un sogno: raggiungere la Baita Segantini.
Il prequel è questo: un giorno del luglio 2022, mentre passavo da Porta Rudiae a Lecce, mi fermai a sbirciare la bancarella di un rigattiere. Mi colpirono le cartoline in bianco e nero: una in particolare raffigurava una baita di montagna. Sul retro, la dedica di un carabiniere che mandava saluti al collega leccese. Erano gli anni Ottanta. Acquistai la cartolina per 50 centesimi; andai a cercare la Baita Segantini su Google e decisi che un giorno ci sarei andata per scattare una foto dalla medesima inquadratura, quarant’anni più tardi.
Per due anni, quel sogno rimase nel cassetto. Nei momenti più tristi, quando guardavo la cartolina, sfiorando i suo bordi rovinati, pensavo che non sarei mai riuscita ad andarci. E invece... eccomi finalmente pronta per raggiungere, ciaspole ai piedi, la meta dei sogni!
Dopo un’abbondante colazione in hotel e aver raggiunto il parcheggio di Passo Rolle, eravamo sul sentiero. Ogni passo, una esclamazione di meraviglia. Le Pale di San Martino incombevano maestose, il cielo, inizialmente velato da leggera foschia, divenne terso, di un azzurro brillante. Guardandomi alle spalle, mi vedevo circondata da cime innevate, così pulite e belle da sembrare un disegno.
Dopo aver raggiunto il rifugio Capanna Cervino, chiuso, ed esserci fermati per qualche scatto, abbiamo continuato a salire. Famiglie, persone sole, gruppi, coppie, amici a quattro zampe (il percorso è davvero adatto a tutti), dalla cima di un imponente dosso nevoso, il mio sguardo si è aperto sulla baita costellata di turisti. O meglio, di “amanti della montagna”, perché a 2200 metri di altitudine ci si arriva a piedi solo se la montagna la si ama. Ma la si ama davvero.
La baita purtroppo in inverno non apre: all’ingresso era affisso un cartello in cui si denunciavano gli eccessivi costi necessari alla gestione e il mancato sostegno delle istituzioni locali, ma questa è un’altra storia… Quel giorno, ci siamo goduti ogni singolo passo fino al rifugio. Abbiamo stappato lo spumante per festeggiare postumi i miei 30 anni, ho spento le candeline sapientemente disposte su un pezzo di strudel comprato al supermercato e ho scattato un quantitativo esagerato di foto. Dopo circa due ore di sosta ci siamo incamminati sulla via del ritorno, con gli occhi pieni di meraviglia e i polpacci saturi di acido lattico.
Ne è valsa la pena? Assolutamente sì.
Lo rifarei? Altre cento volte.
Lo consiglio? Sì, ma solo ai veri appassionati di trekking e montagna.
Spero di poterci tornare? Magari in primavera, estate o autunno, per godere di quel paesaggio con i colori tipici di un’altra stagione.