“Sì, viaggiare. Evitando le buche più dure” cantava Lucio Battisti e io lo immagino in macchina, ricci al vento, sguardo perso, dita a stringere una penna e un foglio stropicciato. Sì, viaggiare. Ma perché? Ci ho pensato a lungo, da sola e in compagnia. Poi ho provato a rispondere.
Si viaggia per necessità, perché non si potrebbe fare diversamente, per responsabilizzarsi e diventare grandi. Si viaggia quando si è già grandi e dalle responsabilità si vuole evadere, pur sapendo di non poter scappare.
Si viaggia per lasciare tracce, o per farle perdere del tutto. E si viaggia per tornare, non migliori, ma diversi e, se anche migliori, meglio. Si viaggia per avere una storia da raccontare, anche se nessuno la chiede, e per raccogliere memorie da portare con sé. Si viaggia per dire di aver vissuto, ma non serve andare lontano per imparare a vivere davvero.
Quanto sono pieni i vagoni, di pensieri, di speranze, di paure. Quanto pesano i silenzi, ognuno chiuso su di sé, nello spazio di un sedile e di un tavolino pieghevole. Si riempiono i posti liberi, oggi, di buste di carta, di zaini e di libri. Si riempie la testa, quando i minuti cominciano a passare. Si riempiono gli occhi di lacrime, più frequentemente di quanto si vorrebbe riconoscere, quando ci si saluta dopo il tempo trascorso insieme, spesso così poco.
Non si viaggia per allontanarsi, non per forza. Lo dicono tutti che alla fine da sé stessi non si può scappare neanche andando via. Invece, si dice meno che, molte volte, non ci si incontra nemmeno rimanendo nello stesso posto, per anni.
Si viaggia per riscoprire il proprio passato, l’ho letto. Se non sbaglio Italo Calvino fece dire una frase simile a Marco Polo, mettendo parole sue in bocca a un esploratore, uno che aveva percorso il mondo sfidando la sorte. E alla fine non è proprio questo? Immaginare, sfidando la sorte.
Si viaggia per motivi di salute, perché, per quanto sia bello pensarlo, non tutti siamo uguali e non ovunque ci sono le stesse possibilità. Si viaggia per obbligo, in quel caso, anche quando il treno prende velocità e non smette di tremare per tutto il tragitto, per quanto sicuro e stabile sia, nel vagone tremiamo anche noi.
Si viaggia per lavoro, ogni giorno su e giù verso una città che non è quella di partenza, ma che a quella di partenza poi ci riconduce, con gli abbonamenti in tasca, i biglietti timbrati all’ultimo minuto e le corse in cerca del binario, mentre ci si divincola in mezzo a gente persa come noi.
Si viaggia stipando in valigia vestiti, cibo, ricordi di casa e pensieri, a volte sottovuoto, da aprire solo all'arrivo, per evitare che esploda tutto in un momento.
Si viaggia e si cammina, con scarpe che sembravano comode, ma a indossarle tante ore non ci convincono più così tanto, con la cinta allentata e la felpa per l'aria condizionata. Si viaggia con le riviste e le parole crociate, il PC per portarsi avanti con il lavoro e il cellulare a cui liberare la memoria.
Ci si porta di tutto, perché quelle ore raramente passano veloci, eppure altre volte neanche ci bastano e siamo già arrivati. Dove? Alla prossima fermata.
Si viaggia con la rabbia di chi ha aspettato tanto, di chi cerca la sua strada e non sa dove trovarla, di chi l’ha già trovata e non sa come raggiungerla, di chi non può pensare solo a sé stesso e porta il peso dei bagagli e la speranza dei suoi cari.
Si viaggia per indipendenza, perché è meglio far trascorrere del tempo e non vedersi per un po'. Si viaggia per ritornare in un posto in cui si è stati bene, per capire se qualcosa è cambiato e per ritrovare ciò per un attimo ci è sembrato scontato, e forse non lo era.
Si viaggia per rendersi conto che si può stare bene in più luoghi, eppure male ovunque.
Si viaggia senza fare un passo, perché i pensieri non vengono frenati dalle pareti di casa e i vetri dei finestrini non calmano l'agitazione. Si viaggia quando si è troppo irrequieti o anche quando si è eccessivamente quieti, perché "fare un paio di gite all'anno" dicono sia una bella abitudine, o per tentare di crearne una nuova, di consuetudine.
Si viaggia per chiudere porte, per sbattere finestre e per aprire fessure nei muri, imparando che si può scorgere qualcosa perfino se intorno è buio e che il cielo è infinito e pieno di luci, anche quando noi non siamo capaci di vederlo.
Si viaggia perché il passato pesa, ma al passato molto spesso bisogna ritornare.
Si viaggia per noia, per insofferenza, per disperazione. E si rimane fermi per gli stessi motivi. Si viaggia per scelta, per mettersi alla prova. Si viaggia per sfidarsi, per scoprire cosa si nasconde oltre i confini che ci impongono, o più frequentemente ci imponiamo da soli.
Si viaggia per sapere di non essere unici, né soli, né speciali, né così diversi da chi ci circonda.
Si viaggia per lasciare casa, per fuggire dove gli occhi degli altri non possono vederci, dove gli sguardi della gente non ci riconoscono e dove noi non riconosciamo i loro. Eppure si viaggia anche per cercarla, una casa, o una stabilità.
Si viaggia per abituarsi al "nuovo", affinché un giorno non spaventi più.
Si viaggia per covare una speranza, per raggiungere un sogno, per trovare un amore in una terra che non è la nostra, consapevoli che è probabile non lo divenga mai.
Si viaggia perché, così come si hanno motivi per farlo, non si hanno ragioni per non provarci.
Si viaggia contro. La paura di impazzire, il timore di ricominciare, l'angoscia della solitudine.
E si viaggia incontro. L'adrenalina delle nuove esperienze, la freschezza delle aspettative, lo stimolo che si prova solo davanti a ciò che non si conosce.
Si viaggia per comprendere la vulnerabilità.
Si viaggia per accettarla, questa paura, che ci fa vacillare, delle città che sono troppo piccole e di quelle che sembrano infinitamente grandi, delle realtà sconosciute e di quelle che non hanno più nulla da nascondere. Si viaggia per affrontarla, nell’affidare il nostro tempo a qualcuno che non siamo noi, oppure nell’abbandonarlo proprio a noi stessi e vedere cosa succede.
Si viaggia per permettere ai polmoni di respirare, altrove.
E ci perdiamo davanti ai tabelloni su cui scorrono gli orari dei treni in partenza o in arrivo, confondendoci tra le centinaia di destinazioni diverse, pensando a quanto ci piacerebbe cambiare percorso, oppure a quanto desidereremmo aver già trovato il nostro ed essere quasi arrivati.
Perdiamo occasioni, scontrini, guanti, desideri, amori e pazienza. Ci guardiamo intorno e perdiamo piccole parti di noi stessi, tanto che nelle vite che inventiamo per gli altri, ci dimentichiamo un po’ della nostra, per accorgerci che, a non portarne tutto il carico, si viaggia più leggeri.