In quasi dieci giorni in America, trascorsi a girovagare in cerca di curiosità e stranezze, principalmente tra il Tennessee e la Georgia, mi è capitato anche di fare un salto (una deviazione di poco meno di 1500 chilometri) a New Orleans. Sono state a stento 36 ore. A detta di tutti, le più pericolose della mia vita.
“Are you crazy?” le parole del ragazzo della mia amica al telefono. Noi, in auto da oltre quattro ore, direzione Lousiana: una macchina prestata, musica ad alto volume e centinaia di chilometri di autostrada ancora da percorrere. “No”, la risposta della mia amica. Non siamo pazze ora, non lo eravamo un anno e mezzo fa quando, aria condizionata e bibita ghiacciata e piena di zucchero, andavamo da sole per strade sconosciute. Spensierate, serene, non pazze. Non preoccupate, non allarmate, non ancora. Lo stesso non si poteva dire dell’interlocutore dall’altra parte del telefono. Una risata, un “ci sentiamo più tardi” e di nuovo la musica alta. Intorno a noi, i campi dell’Alabama.
Dopo aver visto Nashville, dove la mia amica lavorava come au-pair durante la settimana, e aver assistito bambini i cui principali desideri si possono riassumere in mangiare, gridare, fare pisolini ed essere applauditi per i propri successi – dire water non è così facile, neanche se si nasce statunitensi – avevamo deciso di scegliere una meta per il fine settimana: partenza venerdì pomeriggio e ritorno domenica sera.
Dove possiamo andare? Aerei: costosi. Treni: inesistenti. Bus: poi non sapremmo come muoverci. E in macchina? “Abbiamo una macchina?” “You can take it, we don’t need that one this weekend”.
Una macchina, due persone, dove possiamo andare in circa due giorni? Da un raggio di tre o quattro ore, ci siamo rapidamente allungate, fino ad arrivare a un posto che già più di qualcuno ci aveva consigliato: New Orleans.
New Orleans è una città che si trova in Lousiana, nell’estremo Sud degli Stati Uniti. Né troppo piccola, né troppo grande, La Nouvelle-Orléans è attraversata dal fiume Mississippi, così come la sua antenata francese è attraversata dalla Loira, e conosciuta da chiunque. “Vi piacerà moltissimo. C’è sempre un bell’ambiente, gente in giro, musica dal vivo”. Ci avevano convinto. “L’importante è rimanere nel quartiere francese”.
Partenza programmata per il giorno dopo. Spulciato qualche b&b, neanche in modo troppo approfondito, e prenotato il primo che fosse abbastanza economico e avesse un bagno indipendente.
Poi, a dormire presto. Il giorno dopo ci aspettavano: sveglia alle 7 per accompagnare il bambino più grande a scuola, mattinata al parco con quello piccolo, pranzo a casa, zaini da preparare e, dalle 17, circa 530 miglia da percorrere. Sette ore e venti il tempo di viaggio previsto.
Quella mattina, quando ci siamo svegliate, con l’aria condizionata impostata a 10 gradi e un raffreddore latente che non avrebbe tardato a impossessarsi di entrambe, non sapevamo che la frase che più ci saremmo sentite dire nei successivi due giorni sarebbe stata solo una.
“Have a nice trip” ci è stato detto solo due volte. Contare è stato facile.
Dalle 7 alle 17, invece, ancora prima di partire, almeno tre persone, incontrate al parco giochi per bambini, alla biblioteca dei bambini e al supermercato con i bambini, con cui ci era capitato di condividere il nostro apparentemente folle progetto, avevano un commento, accompagnato da espressione costernata: “Be safe there”.
Ai primi non ci siamo preoccupate. Al terzo, abbiamo preparato gli zaini in ogni caso. Al quarto, eravamo già in viaggio.
Lo racconto, non perché serva a voi, né sia utile per un futuro itinerario, ma per me, per non dimenticarlo.
In quelle ore in macchina, abbiamo ascoltato di tutto, comprato da mangiare al drive in almeno due volte, sbagliato un paio di uscite, parlato al telefono con amiche e guardato prati che sembravano non finire mai. A un certo punto, però, quando l’euforia stava lasciando il posto alla stanchezza e alla consapevolezza che mancassero solo cento miglia, una luce. Non la polizia, non un’ambulanza, non lo sceriffo di qualche contea che pure avevamo incontrato al drive in, ma una spia rossa.
“Lampeggia, cos’è?” Nessuna risposta, una rapida ricerca su Google.
“La pressione?”
Pochi chilometri dopo, gomma sinistra a terra, imboccavamo un’uscita dell’autostrada sperando di trovare un benzinaio. Davanti a noi, il buio, nessuna macchina, nessun lampione, nessuna casa. Ai nostri lati, il bosco. Intorno, la notte. Al telefono, il fidanzato della mia amica.
Tutte le cose da non fare in caso di allarme, le avevamo già fatte: prendere una strada che non si conosce, accostare in un punto non identificato, scendere dalla macchina senza attrezzatura idonea e senza torcia. A quel punto, l’unica azione sensata: risalire in macchina, mettere in moto e cercare realmente una pompa di benzina.
A guidarci, a distanza, cercando di trovare già un posto dove potessimo andare a cambiare la ruota il giorno dopo, ancora il fidanzato della mia amica. Percorsa qualche centinaia di metri, finalmente delle luci, un benzinaio. Lì, ruota a terra, noi a guardarla, una jeep che ci si avvicina. Dalla jeep, tre ragazzi più alti di noi, probabilmente usciti da un turno di lavoro, qualche commento a bassa voce e un accento che non capivamo: “Avete bisogno di una mano?”
Uno sguardo alla mia amica, una mano sulla portiera dell’auto, un’altra al cellulare. “Abbiamo bisogno di una mano?”
I nostri occhi persi, prima tra di noi, poi su di loro, alla fine sulla ruota. “Cosa potrebbe andare storto?” non ce lo chiediamo neanche più. Spieghiamo il problema e dalla jeep escono cavi, pompe, ruotini di scorta e altri oggetti che non pensavamo potessero servirci.
“Dove dovete arrivare?”
“New Orleans”.
“Con amici?”
“Solo noi”.
“Conoscete qualcuno lì?”
“Nessuno”.
“La zona?”
“Neanche”.
Uno sguardo scambiato rapidamente tra loro, poi a noi: “Be safe there”.
“Ci stiamo provando”.
Potrei continuare con dettagli superflui, come quelli snocciolati fino ad ora, ma sarò breve: dopo un fallimentare tentativo di gonfiare nuovamente la ruota sinistra, varie chiamate ai proprietari dell’auto e ringraziamenti a chi, nonostante la notte, la barriera linguistica e la nostra confusione, aveva tentato di aiutarci, con poche speranze, abbiamo rimesso in moto.
Tutto è bene quel che comincia bene: siamo partite, siamo arrivate. Tra le varie telefonate fatte, abbiamo scoperto che la ruota aveva un’autonomia di circa cento miglia, perfetta per noi, che nella notte andavamo piano piano per le strade della Lousiana. 70 chilometri, percepiti almeno il doppio, in cui il tempo invece che diminuire aumentava e venti minuti sono durati altri venti, fino a diventare ventidue e ventitré. Poi finalmente, il b&b che avevamo prenotato.
Ore 23. Un quartiere buio, una casa silenziosa, una condizione discutibile, un uomo che ci saluta nel soggiorno. Almeno avevamo un bagno privato.
Il giorno dopo ci siamo svegliate prima delle sette. Siamo uscite a portare la macchina dal meccanico più vicino e siamo andate a fare colazione. Quel giorno, dopo tutti gli allarmi, le tensioni e le spie della sera precedente, ci siamo svegliate a New Orleans, dove è cominciato il vero viaggio.
Case dalle pareti colorate, balconcini in ferro battuto, locali pieni di vita e di suoni, persone cordiali, odore di spezie e di frutta caramellata e un mercato in cui perdersi è stato fin troppo semplice, poi la musica jazz, la gente in strada, le percussioni improvvisate, le voci acute, le risate di quando si esce la sera e non si sa a che ora si tornerà a casa. In tutto questo, un acquazzone estivo e un rifugio improvvisato in un negozio di magia, arti varie e lettura dei tarocchi.
Spensierate, quel sabato, con una ruota splendente, e la rinnovata fiducia di poter arrivare quasi ovunque, dopo una visita in barca sul fiume Mississipi, ad ascoltare storie di marinai e a guardare quanto lunghi e possenti possano essere gli alligatori, pensavamo di aver scampato ogni pericolo.
Non sapevamo, invece, che ci aspettava un’ultima domanda.
“Da dove venite?”
“Italia”.
“E dove andate adesso?”
“Torniamo a New Orleans. Ci fermiamo lì”.
Ancora quella pausa.
“Solo voi due?”
“Solo noi”.
Ci guardiamo. Sappiamo già come andrà a finire.