Lo Zampino
Lo Zampino

Gravi inimicizie

Mare

Vi è mai capitato di scrivere qualcosa e di averne paura? Del peso di quelle parole, dei ricordi legati a certe frasi, del fatto che «se è scritto, allora è reale». Consegno a questa pagina uno sfogo profondo, non ancora digerito, scritto qualche tempo fa. Lo abbandono, senza nome e ne scarico il peso. Forse non voglio più custodirlo da sola. Il tempo non cura ogni cosa, a volte affievolisce le tensioni; altrettante volte, rende un pensiero inattaccabile, come un fossile. Anche se l’elemento non esiste più, la sua impronta supererà gli anni. «Se lo scrivo, è reale» e allora che lo sia fino in fondo. Che il malessere, lo sdegno, il ripudio non siano i soli a lasciare impronte. Che le mie parole siano fossili, anche se mi fanno ancora paura.


Chi alza le mani su una persona anziana non merita il mio rispetto. Né la mia comprensione, né mai meriterà la mia giustificazione. Ha smesso di meritare il mio saluto molto prima di alzare quella mano e di dare quello spintone di cui tanto aveva desiderato essere artefice e su cui così poco ha riflettuto. Chi è aggressivo e prepotente, nei confronti di chi non può difendersi, non ha più diritto al mio affetto, né alla mia fiducia. Chi perde la pazienza, pensando di poter alzare una mano, non a propria difesa, ma a deliberato attacco, ha smesso di poter dare voce alle sue necessità.

Soffro di gravi inimicizie. Ho sempre ripudiato l’odio. Lo vedo come un sentimento eccessivamente negativo, che è pur sempre un sentimento forte, troppo intenso per essere indirizzato a persone di cui, in realtà, ho sempre affermato mi importasse poco o nulla. Ripudiavo l’odio, facendo ridere una mia coinquilina mentre discutevamo su chi ci fosse più insopportabile tra la gente che avevamo conosciuto insieme e che, comunque, decidevamo di non odiare, almeno io. «La odi?» «No, l’odio sarebbe comunque un sentimento. Non merita un sentimento. Meglio l’indifferenza».

Non so se lei si sia mai convinta del mio ragionamento. Io, però, lo sono. Ripudio l’odio e ripudio il rancore. Mi fa stare male, più che la nostalgia di un affetto che c’è stato e di momenti che non torneranno.

Ho ripudiato l’odio fino al momento in cui la rabbia è entrata nella mia mente e nel mio corpo, mai nei gesti. Così come ripudio l’odio, ne ripudio ogni manifestazione: molestia, violenza, vendetta. La rabbia non riesco a ripudiarla. Si è impossessata di me con una forza che potevo aspettarmi, ma che speravo di non dover sperimentare. Ha raggiunto la mia testa e le mie tempie, ha fatto alzare la mia temperatura fino a scoppiarmi in corpo, ha spezzato la mia voce, ha inceppato il mio stomaco e mi ha contorto l’intestino. Ha raggiunto l’esterno con un respiro affannoso e irregolare, quasi singhiozzato, e con le poche lacrime che ho nascosto all’interno del tessuto della felpa, sperando che nessuno se ne accorgesse. Mi sono chiusa in bagno, poi in camera, ho respirato a fondo, per come potevo riuscire a respirare di fronte a una situazione che mi vedeva impotente e stremata. Ho pregato che l’odio mi abbandonasse, che la rabbia si allontanasse da me, ma mai fino in fondo. Ho pregato di essere libera di respirare, questo sì, e di poter tornare a pensare lucidamente. Ho accettato di dover convivere con il dolore di una ferita causata da chi, più che a me, dovrebbe volere bene a chi mi circonda, e mi sono abbandonata alla rassegnazione.

Ho sempre ripudiato l’odio, l’ho evitato con forza e decisione. Ho odiato l’aggressività e la prepotenza. Ho odiato me per essere stata aggressiva, per non essere riuscita a gestire un carattere che voleva esplodere e una voce che non dava seguito al mio flusso di pensieri e di emozioni. Ho odiato quando la prepotenza si è manifestata nei miei comportamenti di ragazzina, ed era già troppo tardi. Non riesco a perdonarmi per la cattiveria che ho usato in passato, per le frasi immotivate rivolte a compagne della mia età, senza capirne né il senso né la gravità, con la sola voglia di riuscire a trovare un mezzo per comunicare. Mi pento ancora oggi di aver pronunciato affermazioni in cui non credevo, di cui mi pentivo già nel momento stesso in cui, comunque, le rendevo pubbliche davanti ad altri, e me ne vergogno.

Non mi vergogno, invece, di provare rabbia. Non me ne vergogno perché questa rabbia è venuta fuori all’improvviso, caricata da eventi, commenti, mancanze, paure. Si è incendiata dentro me, attraverso le parole e i gesti di altri, di chi non si è preoccupato di procurare danno e di ferire. Mi ha circondato all’improvviso, perché non avevo difese, e perché, mentre credevo di essere al sicuro, c’era chi, non lontano da me, costruiva un impero di menzogne e di egoismo, e ci si rifugiava dentro, armandosi contro chi ha sempre cercato di stargli accanto, e gli ha voluto bene, nonostante tutto. Dalle alte mura, quella persona si è affacciata senza guardare giù, sprezzante dei sentimenti e delle fatiche altrui, e ha sferrato il suo giudizio parziale e corrotto, lasciandomi inerme, spiazzata e colpita. Come ci si difende da chi non si è mai interrogato su come stessero le persone intorno a sé e risiede su un piedistallo da cui poter osservare solo il mondo che pensa di vedere? Un mondo fatto su misura per il proprio ego, senza opinioni, senza confronti, in cui regnano immobilità, incapacità e impotenza.

Ripudio l’odio che provo e la mia rabbia, mentre il sole entra dalla finestra e io mi oppongo a chiudere le ante. Non permetterò a chi alza la voce, o le mani, di incupire la luce che illumina questa stanza. Da qui, riesco a vedere tutti i colori di ciò che ho intorno. Forse vedrò male, talvolta i colori mi ingannano, ma non mi lascerò turbare. Toccherò la realtà che è intorno a me, perché, senza mura e senza imperi, a contatto con il suolo, e la vita vera, sarò ancora capace di ascoltare.

Prego perché la rabbia non mi logori, e affinché l’odio non sia l’unico abitante della mia mente. La luce mi aiuta. Mi aiuta l’affetto. Ho sempre creduto nelle possibilità del cambiamento. Più dell’odio, ripudio chi si rifugia nella propria mediocre mancanza di volontà, camuffata da arrogante capacità di giudizio. Rigetto l’odio, il rancore e la rabbia; ripudio chi si arroga il diritto di poterli usare a suo favore contro gli altri.

Apro la porta, esco sul balcone: credo, a malincuore, nella necessità di convivere con le gravi inimicizie. Respiro.