7.08.2025
Mi trovo nel campo che ospita i migranti usati nelle campagne a Nardò, in località Boncuri.
Ad accogliermi, l'associazione ONG-Medici con l'Africa Cuamm.
Mi spiegano che molti degli ospiti hanno regolare permesso di soggiorno, altri forse sono clandestini. Questi lavoratori si muovono spesso, seguendo i raccolti.
È un non luogo questo?
Nel campo, c'è una struttura recintata, otto file di container adibiti ad alloggi. Ci sono anche una cucina comune, un ufficio con avvocato, mediatori e operatori sociali. Poi c'è un'infermeria, dove medici e infermieri volontari vanno una volta a settimana per curare i lavoratori che ne hanno necessità.
Fino ad ora ho visto quasi esclusivamente uomini, non bambini, non donne.
Quasi nessuno mi rivolge la parola. Qualche timido ciao.
Mentre aspetto che il mio amico Cesare, uno dei medici volontari, finisca di visitare uno degli ospiti del campo, mi si avvicina un uomo sulla quarantina, molto cordiale.
Affid, questo il suo nome, dopo essersi presentato, mi chiede di scattargli una foto.
Mi racconta di essere algerino. Lavora in Italia da 23 anni, ma non torna a casa da due, perché ha problemi con i documenti.
Mi dice che a Milano lo pagano di più: 15 euro l'ora, mentre a Nardò solo 7 euro, perché persone più "ricche", tipo i tunisini, accettano lavori a poco prezzo.
È in fila per farsi visitare perché "oggi è stata una dura giornata di lavoro": hanno scaricato tre autotreni e ha dolore alla schiena.
"Il caldo è tremendo in campagna", continua. "Gli italiani che lavorano nei campi sono pochi; solo adulti, ragazzi no. Troppo poco prezzo".
A qualche decina di metri di distanza da noi, un gruppo prega su tappeti improvvisati. Immagino siano di fede musulmana.
La struttura è stata creata dalla Regione Puglia e dal Comune di Nardò. Affid mi spiega che ci sono persone provenienti da tutta l'Africa, per un totale di circa un centinaio di ospiti. In questo periodo molte persone che erano qui si sono spostate a Foggia per raccogliere i pomodori.
"Mali, Sudan, Burkina Faso, Algeria, Tunisia... tutti neri", dice ridendo.
Mentre scatto delle foto in giro, avendo cura di non inquadrare le persone, un signore attira la mia attenzione per dirmi che non vuole che io lo faccia. Lo ascolto, quindi smetto.
Me li immagino un po' così i checkpoint ai confini, solo più affollati, più tristi.
Immagino più persone disperate.
Affid mi ha detto: "Per 80 o 100 euro non conviene che lavoro in Algeria? Almeno ho i miei figli vicino".
E come darti torto, Affid? Sei in un paese che ti sfrutta e che non ti vuole. Lavori tanto e ti pagano poco, non hai diritti, non hai una vita. Non puoi nemmeno tornare a casa. E quindi cosa fai? Continui. Ma dopo 23 anni io lo capisco che non vuoi più stare qua.
Mi chiede se sono sposata. Gli rispondo "non ancora", ma che ci sto lavorando, perché per sposarsi c'è bisogno di soldi.
Non è vero, ma sarebbe più complicato spiegargli che il matrimonio, per me, non è così importante.
Ci salutiamo. Spero di non trovarti qui l'anno prossimo, Affid.